La repressione al Vittorio Emanuele III, ovvero Quando sedersi al bar diventa pericoloso


Oggi, 22 dicembre, alcuni ragazzi del Vittorio Emanuele III appartenenti al Collettivo 26 Luglio e alla Rete dei Collettivi, si sono ritrovati davanti l’istituto industriale Vittorio Emanuele III richiedendo un’assemblea straordinaria l’ultimo giorno di scuola per discutere di problemi interni ed esterni alla stessa. Il preside, dopo avere risposto con tono minaccioso ai ragazzi durante la ricreazione, non solo non ha concesso l’assemblea (che aveva il consenso degli studenti), ma ha fatto anche rimuovere lo striscione fatto dai ragazzi della Rete, attaccato sulla ringhiera. Ma non è bastato tanto prima che la situazione degenerasse: non molto dopo infatti, mentre i ragazzi erano al bar di fronte la scuola, aspettando l’arrivo del rappresentante d’Istituto, arrivano delle volanti di polizia che identificano senza alcun motivo tutti i ragazzi, che si trovavano lì anche casualmente a mangiare un panino o a giocare a biliardino. Poco dopo una trentina di ragazzi va a chiedere conto al preside di ciò che era appena accaduto. L’unica risposta abbozzata dal preside, contestato da tutti gli studenti presenti, è stata ” è la mia scuola: faccio quel che voglio. Eravate tanti ed eravate un gruppo di ragazzi con brutte intenzioni lì al bar”. Come se non bastasse, poco dopo al bar uno studente ha rischiato di ricevere una denuncia per “minaccia” per avere dato del fascista al segretario della scuola, che aveva aggredito verbalmente (e per poco fisicamente: “vini ca ti scanno”) uno studente di 18 anni lì presente.

Più per la mancata assemblea (che si è tenuta solo di fronte la scuola) siamo davvero delusi non solo dal ruolo strumentale delle forze di polizie, che impiegando due volanti e sprecando un’ora di tempo, hanno identificato dei ragazzi seduti tranquillamente al bar, invece di impiegare le proprie forze nella cattura dei veri criminali, ma anche dal ruolo del preside che non trova altro modo di risolvere le questioni scolastiche se non quello di spedire la polizia contro gli studenti, creando tensioni ingiustificate e intimidendo di fatto i propri alunni. La scuola non è una caserma, deve tenere alto vivo il livello della discussione politica, anche quando questa è animata e non può trovare tutti sulle stesse posizioni. Proprio in una scuola come il Vittorio Emanuele, dove si formano i lavoratori di domani, dovrebbero esserci sempre più momenti di discussione, non solo sulla condizione interna in cui versa la scuola, ma sulla crisi economica che incide ora sugli studenti con le politiche di austerità sull’istruzione, e che inciderà soprattutto domani quando ci troveremo in un mondo del lavoro in cui è sempre più difficile entrare, e ottenere alla fine una pensione. Le “armi” da utilizzare sono le parole e i dibattiti, non le minacce e le identificazioni.

 

La repressione non ci fermerà, anzi ci dà più forza per continuare, e per tornare a lottare dentro e fuori il Vittorio Emanuele III