La precarietà è organo del sistema


PER UN 9 APRILE IN ROSSO TINTA FORTE

VERSO LO SCIOPERO GENERALE DEL 6 MAGGIO

CONTRO LA PRECARIETA’ NON SOLO “ADESSO”, MA IERI OGGI E DOMANI!

Evento su Facebook dello Spezzone della Rete dei Collettivi Studenteschi per la mobilitazione “Il Nostro Tempo è Adesso: Il Futuro non Aspetta” di questo Sabato 9 Aprile: http://www.facebook.com/event.php?eid=189951711047642

Piattaforma politica d’adesione critica della Rete dei Collettivi Studenteschi: https://retedeicollettivipa.noblogs.org/2011/04/06/la-rete-dei-collettivi-scende-in-piazza-il-9-aprile-con-una-sua-piattaforma-politica-critica/

Siamo la “generazione x” del nuovo millennio, il popolo degli inesistenti. Siamo la prima generazione dell’universo del cosiddetto “primo mondo” che non riceverà una pensione né alcuna garanzia di welfare che ripaghi la ricchezza che abbiamo nostro malgrado introdotto nel circolo economico italiano: 33 miliardi di euro versati col sangue della precarietà (dati del 2006: http://it.wikipedia.org/wiki/Precariato) e spesi dai potenti per colmare il debito dell’INPS senza degnare di uno sguardo il futuro che ci avanza davanti. Ed è solo un esempio.

Il precariato è di sicuro uno dei “soggetti” di più difficile comprensione di questa era, dibattuto pubblicamente insieme ai più grossi temi di sempre della politica e tuttavia ancora parecchio lontano da una sua possibile risoluzione. Il problema principale nell’affrontare il tema della precarietà deriva dall’impostazione classica che se ne fa, ovvero nell’analizzare il fenomeno dei contratti e contrattini vari “a tempo determinato” lasciando sempre implicito che non vi è di base alcuna volontà di cambiare il sistema produttivo che l’ha generato: il capitalismo selvaggio, il neoliberismo trasformista, la semplice logica del profitto sul profitto. Lo stesso identico meccanismo che finanzia con miliardi di euro (1,3 miliardi di euro per la “guerra umanitaria” in Iraq nel solo triennio 2003/2005) e che oggi, tanto per cambiare, si getta nell’ennesima avventura futurista “di pace” nella Libia di Gheddafi, maggiore azionista dell’Unicredit (7% delle quote) fino a poco tempo fa, quando era ancora ritenuto “politically correct” inserire un elemento del genere nel consiglio d’amministrazione di una delle maggiori banche italiane ed europee.

La precarietà ha una storia lunga, che viene da lontano. Come scrive Andrea Fumagalli parlando della Svizzera (“breve storia del precariato: http://switzerland.indymedia.org/it/2005/03/30955.shtml) “l’inizio della progressiva precarizzazione del lavoro, almeno in Italia, è fatto coincidere con il 19 dicembre 1984, quando fu promulgata la legge n. 863 facente parte del “Protocollo Scotti sul costo del lavoro” Grazie a quella legge, furono allargati i criteri minimi per il part-time, introdotti i contratti di solidarietà e i contratti di formazione-lavoro. Seguì poi nel 1987, la legge n. 56 che diede la possibilità di estendere il contratto a termine a tutti i settori. A questi primi timidi accordi faranno seguito una progressiva opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Solo nel 1997 inizia ad essere contemplata dall’ordinamento italiano.” Il resto del lavoretto l’hanno poi completo norme come il “pacchetto Treu” e la legge 30, la cosiddetta “legge Biagi”.

Il precariato è un concetto verso il quale è difficile prendere parola, ed è sbagliato circoscriverlo solo al mondo dell’economia di mercato. Il precariato ormai è una condizione esistenziale, una dimensione di vita nella quale lo spazio del “domani” viene sottratto in nome del profitto dei soliti pochi: precarietà nel lavoro è precarietà nella vita, nei progetti e nell’indipendenza che dovrebbe muovere le scelte di ognuno di noi.

Siamo uno dei pochi paesi al mondo che non hanno ancora riconosciuto il concetto di “reddito garantito”, principio base per costruire una società senza disparità sociali ancora prima che economiche.

Le solite mobilitazioni saltuarie non risolveranno il problema, non serviranno ad allontanare il 29% di disoccupazione giovanile che imperversa soprattutto qui da noi, al sud, e non serviranno soprattutto ad accrescere l’inesistente rapporto di forze di cui il precariato (non) gode nei confronti della classe politica del paese. Il precariato abolisce giorno dopo giorno le conquiste degli ultimi 150 anni del mondo operaio, ridicolizza la dignità della vita e umilia sangue e passioni di chi ha combattuto per migliorare le condizioni di vita degli sfruttati di sempre. Non esiste memoria del passato né spirito di r/esistenza (passata presente e futura) quando ci si lascia passare davanti, senza colpo ferire, un progetto cataclismatico di questo calibro. Non bastano le piazze a tema, non basta “appoggiarsi” (o farsi sfruttare?) ai maggiori  quotidiani spalleggiatori del sistema vigente e non basta soprattutto neanche uno Sciopero Generale di solo 4 ore.

I sistemi economici impostano la totalità dei quadri sociali, ed è impossibile leggere l’attuale (ma anche passata) distruzione sistematica del mondo dell’istruzione pubblica senza fare “due più due” e collegarla anche intuitivamente alle “nuove” esigenze della macroeconomia mondiale imposta dai paesi più sviluppati. Il profitto marcia al ritmo dello schiavismo industriale di fine ‘800, e l’implicità da sotterfugio con cui muove i suoi tentacoli sulle nostre teste non deve essere scambiata per inattività.

Siamo una generazione senza futuro, una nuova orda che puzza di punk che muove i propri passi verso l’abisso della nullatenenza. Reclamiamo il diritto al reddito garantito, il diritto all’azione dal basso e il dovere di sentirci garantiti vita, morte e miracoli. Il nostro tempo non è solo “adesso”, non sarà solo domani 9 Aprile (appuntamento alle ore 17 a Piazza Indipendenza) e non terminerà neanche domani e tutti i giorni a venire. Vivere è un diritto, sollevarsi quando lo si vede negato è un dovere: dire con coraggio di voler cambiare radicalmente il sistema che genera tutto questo è l’unica coerenza possibile.

RETE DEI COLLETTIVI STUDENTESCHI DI PALERMO

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