«La volontà del popolo greco per noi sarà vincolante»
Sono queste le parole che il premier socialista greco George Papandreou ha utilizzato davanti al Parlamento ellenico, a sorpresa di tutti i presenti, per introdurre la sua proposta di un Referendum Popolare sulle nuove misure anticrisi imposte dalla troika BCE/UE/FMI. E’ chiaro a tutti, dai più attenti analisti della fase ai più miopi rappresentanti della politica mondiale, che queste parole segnano con tutta probabilità un punto di non ritorno chiaro e tondo sulla storia di questa Crisi. Manca soltanto il cerchietto sul calendario, per il resto les jeux sont faits.
La prospettiva di un Referendum sull’ennesimo diktat finanziario (si scrive misure anticrisi ma si legge austerity) che la Grecia riceve da ormai due anni a questa parte sarà il nodo centrale del dibattito politico sulla crisi economica di qui ai prossimi mesi. E lo sarà su almeno due aspetti: un primo aspetto economico, cioè basato semplicemente sul binomio causa/effetto che proprio economicamente (e storicamente) questo fatto scatenerà, e un secondo aspetto politico, basato invece sulla nuova voragine che si apre a sorpresa sulla tradizionale prassi politica di gestione di una crisi economica. “Voragine” perchè, anche se i media e la stessa politica non hanno ovviamente l’interesse a farlo vedere (ammesso che l’abbiano capito), questa “microfrattura” tutta greca apre le porte al crollo dell’intera diga dalla quale, paradossalmente (ma non del tutto), è stata generata. Ma andiamoci con ordine.
Aspetto Primo
Ci sono potenzialmente ben tre motivi che hanno portato Papandreou ad aprire questa prospettiva referendaria, e (almeno sulla carta) sono tutti validi. Motivo numero uno: Papandreou, calcolata l’esigua maggioranza del suo governo (153 voti su 300) e l’elevata possibilità di imprevedibili elezioni anticipate, vuole rifarsi il trucco davanti all’elettorato e pulirsi la coscienza nell’ottica di una sua possibilissima ripresentazione a candidato premier. Motivo numero due: Papandreou, ben cosciente dell’impossibilità di negoziare ad armi pari i termini del pacchetto anticrisi imposto dall’europa e ben cosciente di quanto questi termini siano naturalmente indigesti alla stragrande maggioranza dei diretti interessati, intende bluffare tutto e tutti agitando lo spettro di un Referendum, che ovviamente avrebbe esito negativo, in modo da costringere la troika al tavolo della trattativa per ottenere misure meno rigide per il popolo greco. Motivo numero tre: Papandreou, in un miracoloso e miracolato slancio verso il minimo sindacale di etica e morale pubblica che si dovrebbe pretendere dalla classe politica di tutte le presunte democrazie occidentali, intende dare l’ultima parola ai cittadini greci ridando finalmente dignità reale alla carica elettiva che ricopre e al popolo che la rende tale tramite l’esercizio del voto.
Quale che sia, di questi tre, il motivo che ha portato il premier ellenico a questa svolta storica, permangono senza alcuna ombra di dubbio (e invariate di qualità) le conseguenze che la stessa si trascinerà dietro. Per i greci e per l’europa come per noi e per il mondo intero. Diamo un secondo un’occhiata allo scenario che può venir fuori.
L’ipotesi di un’approvazione corale da parte del popolo greco dell’ennesima macelleria sociale marcata UE non prendiamola neanche in considerazione, sia per palese schizofrenia della realtà (dove c’è un paese martoriato e con l’acqua alla gola da due anni a causa del contemporaneo peso spropositato del portafogli di qualche banchiere in giro per il mondo) sia per dovuta scaramanzia. Scaramanzia perchè questo movimento globale, se ci riesce, vorrebbe far venire fuori da questa crisi un altro modello economico sostenibile (e anticapitalista) e non certo una reiterata logica cristiana del sacrificio collettivo (in virtù, tra l’altro, dei potenti e dei soliti speculatori) che invece un’improbabile approvazione popolare delle misure anticrisi significherebbe. Detto questo, passiamo ad un’efficace e monosillabica sintesi di ciò che accadrebbe una volta respinto, tramite il Referendum, il pacchetto anticrisi imposto dall’europa: default. La Grecia dell’Acropoli di Atene e del mito di Europa, giovane fanciulla fenicia rapita da Zeus o figlia di Oceano e Teti che dir si voglia, aprirebbe la via al crollo della moneta unica e dell’unione europea tutta. E stop. Probabile riazzeramento dei conti, probabile travaglio lungo e oscuro della sua storia prossima e probabile inizio della fine di questa era politica ed economica per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Per il resto, ahimé, chi vivrà vedrà.
Aspetto Secondo
La vera e propria “voragine” che questa prospettiva referendaria apre sul panorama mondiale in termini di innovazione (e non in termini di distruzione come accadrebbe sul piano economico, dove un sistema produttivo nascente e ancora non ben definitivo ne andrebbe a demolire un altro), invece, è tutta politica. E’ tutta politica perchè, molto semplicemente, si tratterebbe di un governo di delegati eletti che, paradossalmente (?) e per la prima volta nella storia (a parte l’Islanda), delega ai suoi stessi elettori la scelta più importante della sua legislatura. “Delega” referendaria che cade in piena dittatura de facto delle sovrastrutture economiche europee e che pesa come un macigno perchè crea, proprio a livello politico, un pericolosissimo precedente per tutti i governi e i popoli soggetti a questa crisi del biopotere finanziario. E anche se di precedenti storici a livello di debito detestabile e di diritto al default, in realtà, ne abbiamo già abbastanza (basti pensare, come ci ha insegnato il documentario Debtocracy prodotto proprio da due freelance greci, all’Ecuador di Correa e alla Cuba post coloniale o all’Iraq post Saddam Hussein), c’è da dire che questa volta, ahimé per loro, i media internazionali farebbero molta più fatica del solito a nascondere sotto il tappeto tutto l’accaduto. Della serie: gli è venuto facile ridurre a poche righe sui libri di storia la cancellazione (targata 1902) del debito pubblico cubano/spagnolo per mano del neonato protettorato statunitense, gli è venuto facile non parlare di storia contemporanea e della cacciata dei funzionari del FMI da parte del governo ecuadoregno di Correa e gli è venuto facile nascondere sotto due o tre parole mistificatorie la cancellazione del debito pubblico iracheno che Bush jr. ha preteso all’indomani della sconfitta del raìs, ma di certo, almeno questa volta, non gli sarà facile nascondere quest’ultima testimonianza di diritto al default applicato a meno di 1.000 kilometri di distanza. E non è cosa da poco. Vallo a spiegare poi, ai vari PIIGS (tra cui, ricordiamolo, ci siamo anche noi) europei e ai loro popoli, che devono pagare loro la crisi. Vallo a spiegare poi, con la solita faccia bonaria e criminale, che il futuro sta nelle larghe intese e nei sacrifici collettivi quando un intero popolo, se così accadrà, sbatterà una volta e per tutte la sua indisponibilità in faccia ai banchieri e agli speculatori di mezzo mondo. Vera e propria “ciliegina sulla torta” di tutta questa interessantissima vicenda sarà inoltre, infine, la consapevolezza (nostra come loro, cioè classe politica e banchieri) che il referendum greco ricopre il duplice ruolo di referendum sul pacchetto anticrisi (piano immediato) e di referendum sul sistema UE/BCE/FMI (piano non immediato). Cioè un referendum, se non vogliamo andare troppo per il sottile, sul sistema economico che da secoli domina questo mondo. Un referendum sul capitalismo: chi l’avrebbe mai detto?
Altro dato importante e storicamente rilevantissimo che fuoriesce da questa prospettiva referendaria aperta da Papandreou è il mutamento che subirà la tradizionale fisionomia della cosiddetta democrazia rappresentativa. Non sarà tanto l’atto in sé (che abbiamo già analizzato abbastanza) a ridiscutere il rapporto di forza tra popolo e rappresentanza eletta, ma piuttosto le reazioni che questo atto ha trovato e continuerà a trovare nelle classi politiche dell’intero globo. Il Presidente d’oltralpe Nicolas Sarkozy, ad esempio, ha reagito così (fonte Le Monde) all’accaduto: «Il gesto della Grecia è irrazionale e, dal loro punto di vista, pericoloso». Ecco come, nel mondo targato XXI secolo, fregarsene per una buona volta della delega parlamentare e donare al popolo il più alto e trasparente strumento politico che possiede è, per bocca del presidente di uno dei paesi più importanti del mondo, “irrazionale”. Ecco come, nel mondo targato XXI secolo, l’unico atto responsabile di un premier che opera in un paese da due anni sull’orlo dell’insurrezione giornaliera e nell’instabilità sociale più alta dai tempi della guerra civile diventa, per bocca del presidente di uno dei paesi più importanti del mondo, “controproducente”.
La dichiarazione di Sarkozy e tutte le prese di posizioni (sicuramente sulla scia dell’ometto francese) che seguiranno di qui ai prossimi giorni sono un campanello d’allarme non indifferente. E’ un cambio epocale di prospettiva, è una rivoluzione copernicana del più basilare senso logico: non è l’austerità imposta (cioè i licenziamenti di massa, le decurtazioni dello stipendio, la recessione forzata e tutte le forme possibili e immaginabili di miseria legalizzata) ad essere oggetto di critiche e prese di distanze, ma la più alta forma possibile di democrazia. E’ evidente che c’è un problema, ed è evidente che c’è una voragine difficilmente recuperabile nel rapporto rappresentanza/rappresentati. E al di là di noi, che turbodemocratici e fiduciosi nell’odierna democrazia rappresentativa non lo siamo stati mai, tutto questo rappresenta, nel bene e nel male e nell’ottica di preparare un mondo futuro slegato dal giogo del profitto, un altro punto di non ritorno da tenere bene in mente.
SEMINATE AUSTERITY, RACCOGLIETE RIVOLTE
RETE DEI COLLETTIVI STUDENTESCHI PALERMO
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